La lettera di Francesca Tirloni (1920)
Covo li 24-2-1920

Carissima sorella e cognato.

Con molto dolore ti devo far noto delle mie tristissime condizioni di salute. Or sono 36 mesi che sono ammalata in modo da non potermi servire da sola. Ne provai di tutte ogni mese per poter recuperare la mia prima salute; provai a casa e all’ospedale di Bergamo per due mesi; mi hanno consigliato di recarmi a Genova da uno specialista e ci stetti per quattro mesi in ospedale con la spesa di £.11 al giorno ed ora sono a casa e vado peggiorando ogni giorno.

Un’altra cosa che forse aggrava la mia lunga e sofferta malattia è “ nostro padre!!” che con quell’egoismo del denaro!!! Credimi sul mio nome e sulla testa dei miei cari due bambini: nostro padre non mi avrebbe mai offerto neppure un bicchiere d’acqua se fosse costato cinque centesimi. Sai cosa succede? oltre quello v’è che nostro padre ha fatto testamento e sappiamo già com’è fatto: a noi ragazze ha assegnato £.5000 cinquemila quando invece i fratelli restano con più di £.60000 sessantamila ciascuno. Vedi quale proporzione esiste? e non gli si può dir nulla, conserva ancora quel brutto carattere.

Termino con la speranza che con la tua prima vorrai dir qualcosa a nostro padre a mio riguardo perché ora ho proprio bisogno di un soccorso. A vedere mio marito e famiglia quanto hanno fatto per me, quanti e quanti denari che hanno speso e nostro padre che possiede molto più della famiglia Pesenti mai ha concorso ad una più piccola spesa a mio riguardo; mai, mai, mai. Più volte ti scrissi ma non ebbi mai risposta diretta a me.

Saluti infiniti a te e tutta la tua cara famiglia; saluta a mio nome anche i nostri fratelli e di loro delle mie tristissime condizioni di salute,

Termino perché non mi posso più reggere, mia cara (sorella) sono sfinita, le forze fisiche ogni giorno mi vanno scomparendo; ora ho una gamba morta e mi devo reggere con le stampelle ed il busto metallico giorno e notte

Infiniti saluti
sono tua sorella amata
Francesca

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