SCHEDE




Emanuele Tirloni

27-09-1890 / 28-11-1950



Nasce a Porto Franco il 27/09/1890 da Alessandro ed Elisabetta Colombi .

Grazie ai numerosi racconti che ama fare a figli, nuore, genero e nipoti si viene a conoscenza di uno spaccato della vita che la famiglia faceva in Brasile. I suoi racconti devono essere apparsi straordinari, a tratti addirittura assurdi ed incredibili a tutti coloro che lo ascoltavano; raccontava che a Porto Franco c’era sempre il pericolo dei serpenti e per non trovarli in casa si doveva mettere gli specchi agli ingressi e spesso si doveva combattere contro i Bugheri (il nome con cui venivano indicati gli indigeni autoctoni).

Raccontava del lavoro con la segheria in cui quasi sicuramente aiutava anche lui e del commercio del legname. La legna tagliata veniva buttata nel fiume e seguita a piedi lungo la riva finchè non arrivava, trasportata dalla corrente alla città di Brusque o di Itajai. A questo punto, venduta tutta la legna si ritornava al villaggio sempre a piedi; in totale ci volevano quattro giorni di cammino per andare e tornare poiché non esisteva una strada vera e propria, c’era solo un sentiero in mezzo al mato (=la foresta).

Nel villaggio di Porto Franco Emanuele ha una fidanzata quindi si può ben immaginare che per lui la partenza per l’Italia sia vissuta come un’autentica condanna ma Emanuele, giovane pacato ed obbediente, a malincuore obbedisce alla volontà paterna e si imbarca diciottenne con i genitori ed i fratelli intraprendendo la traversata atlantica nel 1909 per raggiungere la patria nativa dei genitori.

Assiste, durante il viaggio, alla prematura morte del fratello minore Angelo e non essendo possibile il trasporto della salma fino in Italia viene fatto il funerale sulla nave dopodiché il corpo, avvolto in un sacco, viene gettato in mare.

Si stabilisce con i familiari alla cascina battagliona; nel 1910 il fratello Vittorio raggiunge la famiglia ed in quell’occasione viene fatta la famosa fotografia di famiglia spedita ai parenti in Brasile e giunta fino a noi.

Il 10/04/1912 perde la madre che, probabilmente colta da malore, annega nella roggia mentre lavava i panni. In quel momento nella grande famiglia una donna in più serviva anche perché la sorella Angela era già fuori casa da un anno ed il padre Alessandro spinge affinchè Emanuele, l’unico dei maschi ad avere una fidanzata, si sposi in fretta.

Si sposa il giorno 16/11/1912 con Rosa Morosini , una ragazza originaria di Covo, e gli fa da testimone il cognato Agostino Nava. La coppia avrà 6 figli:

Battista Angelo (1913 – 1996)
Mario (morto alla nascita nel 1915)
Giuseppe Mario (1916 – 1992)
Antonio Alessandro (1922 – 1996)
Dante (1924 – 1968)
Iride (nata nel 1927)


La famiglia risiede alla cascina Battagliona insieme all’anziano padre Alessandro ed ai figli non ancora sposati. La moglie Rosa stringerà una forte amicizia con la futura cognata Lucia e proprio con la sua complicità cerca di superare gli scogli familiari ed eludere la ferrea vigilanza attuata nella cascina dal padre Alessandro e dalla sorella Vittoria finchè tutti si sposano ed il cognato Vittorio si trasferisce per colpa dei dissapori con il padre.

Uomo mite, allegro e di buon carattere accetta sempre senza particolari ribellioni la volontà paterna senza per questo mancare mai di riguardo alla moglie che, a causa dei problemi di salute dovuti alle frequenti cardiopatie, necessita di particolari attenzioni.

Uomo fisicamente prestante è molto più alto della media nazionale e di tutti i suoi fratelli riesce ad evitare i primi anni della Grande Guerra per colpa dei denti rovinati ma è molto probabile che sotto questo giudizio medico ci sia lo zampino ed anche i soldi del vecchio padre Alessandro. Viene richiamato alla visita militare nell’autunno del 1917 ma stavolta viene giudicato abile. Parte quindi per il fronte insieme al fratello Vittorio all’inizio del 1918; questa volta tutti gli sforzi fatti dall’anziano padre sono del tutto inutili. Durante il conflitto mondiale viene ferito ad una gamba ma fortunatamente riesce a tornare sano e salvo a casa.

E’ probabile che non sia mai andato a scuola infatti sa scrivere solo il suo nome ma sa leggere. Proprio per questo motivo tutte le lettere che riguardano lui vengono scritte dalla moglie o, in seguito, dai figli.

Dopo la morte del padre la famiglia continua a rimanere alla cascina Battagliona. Può darsi che da questo momento la famiglia viva un periodo più rilassato non dovendo più fare i conti con il vecchio patriarca anche se comunque la parsimonia che ha reso proverbiale i Tirloni continua ad essere mantenuta.

L’unico lusso che Emanuele e Rosa si permettono sono i soggiorni alle terme di Gaverina, nelle prealpi bergamasche. Questo era un lusso che non era certo alla portata di tutti, sicuramente lo facevano soprattutto per cercare sollievo alla malferma salute della moglie.

Da una lettera scritta nel 1934 dal figlio Angelo alla sorella Rosa, si apprende che Emanuele non smette mai di sognare di ritornare in Brasile ed anche le difficoltà dovute alla crisi economica accentuano questo suo malessere ma sicuramente il desiderio di Emanuele è più dettato dalla nostalgia, dalla voglia di rivedere la sua terra nativa che non altro. Questa mitizzazione del Brasile è infatti una cosa che accomuna tutti i fratelli e che questi ultimi di proposito cercano di trasmettere ai loro discendenti grazie ai loro continui racconti.

Man mano che i figli crescono ci si accorge che la cascina Battagliona è sottodimensionata in rapporto al potenziale dei figli e questi decidono di mettere i genitori alle strette: o ci si sposta in un’azienda più grande oppure i figli andranno a lavorare tutti quanti a Milano. Emanuele non vuole assolutamente una cosa simile ed allora decide di vendere la cascina di Covo e nel 1937 la famiglia si sposta come fittabile – cosa che impensierisce non poco Emanuele che non è più padrone della terra che lavora – presso la cascina Tesoro di Romanengo in provincia di Cremona. Si può dire che da questo momento in poi Emanuele, seppur ancora giovane, inizia a farsi da parte e lascia l’amministrazione e gli investimenti in mano ai figli.

Rimane vedovo il giorno 27/12/1939. La moglie Rosa viene colta da un forte infarto e muore nel giro di mezz’ora. Il giorno del funerale Emanuele conoscerà per la prima volta la futura nuora, fidanzata del figlio secondogenito Giuseppe.

Quando nel 1941 i figli prendono in gestione la cascina Motta sita nel vicino paese di Ticengo, Emanuele decide di rimanere a Romanengo e solo nel 1948, quando i figli decidono di lasciare la cascina Tesoro per prendere in gestione la cascina Le Peschiere di Soresina, si trasferirà nella nuova cascina.

Nel 1949 i figli decidono di fare al padre un regalo davvero unico: decidono di rimandarlo in Brasile, per rivedere la sua terra nativa, trovare i nipoti e la sorella Albina, l’unica rimasta ancora viva. Questo viaggio è probabilmente destinato ad influire ed influenzare le sorti future di tutta la nostra famiglia poiché risalda i rapporti e lancia un ponte tra la famiglia in Brasile e quella in Italia. Emanuele prepara il viaggio in maniera meticolosa: sebbene abbia solo 59 anni, per i tempi è considerato già un uomo vecchio ed affrontare un simile viaggio può essere rischioso. Si reca quindi dai dottori e dai cardiologi a Cremona e fa tutti gli esami medici del caso ed il referto è ottimo: può intraprendere l’avventura!

Parte prima del settembre 1949 ed appena arrivato a Porto Franco avviene l’emozionantissimo incontro con la sorella Albina da cui si stabilisce. I due fratelli non si vedevano da 40 anni; si erano lasciati che erano giovani e si reincontrano ormai vecchi e canuti. Si abbracciano forte e rimangono così per parecchi minuti senza riuscire a dire nemmeno una parola! La permanenza in Brasile dura quasi un’anno ed è un’autentico trionfo. Emanuele viene accolto con tutti gli onori non solo dai parenti e diventa la personalità più in vista di Porto Franco e Nova Trento; la gente va da lui a sentire i racconti dell’Italia, della Grande Guerra e lui è sempre circondato da gente, non passa mai un minuto da solo senza le attenzioni ed i riguardi di tutti.

Torna in Italia nel Luglio del 1950 e la prima immagine che la figlia Iride ricorda è di aver visto il padre affacciato dal ponte della nave che saluta sorridente e così facendo mostra i denti d’oro impiantati come regalo da un nipote brasiliano dentista. Viene organizzato un grande pranzo alle Peschiere a cui partecipano tutti i fratelli, sorelle e cognati ancora vivi. Emanuele probabilmente durante quel pranzo non mangia neppure un boccone, tanto è impegnato a raccontare a tutti la sua esperienza; è visibilmente entusiasta e non fa altro che parlare del Brasile per i pochi mesi che gli resteranno da vivere.

La mattina del 28/11/1950 a 60 anni, di ritorno dalla stalla viene colto da un infarto ed in poco più di mezz’ora conclude il suo cammino terreno. Viene sepolto in un loculo nel cimitero di Soresina ed in seguito a questo decesso i figli decidono di costruire una grande tomba di famiglia nel cimitero di Soresina in cui circa un anno dopo traslano entrambi i genitori.